Due interventi chirurgici su tre rimandati, più di un esame su tre rinviato, appena uno screening oncologico su dieci eseguito durante il primo lockdown. I Pazienti dimenticati sono quelli che non hanno potuto, o in alcuni casi voluto per timore del contagio, accedere alle prestazioni sanitarie durante la prima fase della pandemia da Sars-CoV-2.

Una situazione figlia di una decisione politica: il 16 marzo 2020, una settimana dopo l’istituzione di un lockdown generalizzato, il ministro della Salute Roberto Speranza firmava le Linee di indirizzo per la rimodulazione dell’attività programmata differibile corso di emergenza da COVID-19. Un documento che aveva lo scopo di “rendere omogenee le eventuali iniziative di riorganizzazione delle attività ospedaliere di ricovero diurno e ordinario e ambulatoriali che si rendessero necessarie allo scopo di soddisfare il potenziale incremento delle necessità di ricovero e di limitare i flussi di pazienti all’interno delle strutture di assistenza”. Detto altrimenti, di evitare il collasso del sistema sanitario nazionale.

La scelta ministeriale è stata quella di rinviare i ricoveri elettivi non oncologici con classe di priorità B e C (ovvero da eseguire rispettivamente entro 60 e 180 giorni) e quelli elettivi di classe D (senza attesa massima definita e legati a casi clinici che non causano alcun dolore, disfunzione o disabilità) e di procrastinare le prestazioni ambulatoriali differibili (30 giorni) e programmabili (90/120 giorni).

Pazienti dimenticati è un’inchiesta data driven che cerca di ricostruire cosa abbia significato, ospedale per ospedale, questa decisione politica. Una decisione, il giudizio sulla quale è lasciato al lettore, che ha interessato in maniera omogenea il territorio nazionale, in un contesto in cui la pandemia ha colpito il Paese in maniera tutt’altro che omogenea modo. Lo dimostrano innanzitutto i dati relativi ai contagi: il 30 aprile 2020 a Bergamo erano risultate positive 1.020 persone ogni 100mila abitanti, a Oristano invece 35. Ma anche i numeri legati ai medici risultati positivi al nuovo coronavirus e ai pazienti ricoverati in terapia intensiva, considerati la cartina di tornasole dell’impatto pandemico sul servizio sanitario. Dati, questi ultimi due, che Pazienti dimenticati è in grado di restituire ospedale per ospedale.

Per ottenere questi dati sono state inviate 200 richieste Foia (istanze di accesso generalizzato) ad altrettante aziende sanitarie e ospedaliere. La richiesta quella di fornire i dati relativi agli interventi chirurgici, a visite ed esami ambulatoriali e alle prestazioni oncologiche eseguite e rinviate tra il 1 marzo ed il 30 aprile del 2020. O, qualora il numero sui rinvii non fosse disponibile, quello relativo alle prestazioni eseguite nello stesso periodo del 2019. Delle 200 aziende interpellate, 57 hanno ignorato la nostra istanza, altre 21 l’hanno respinta. Le altre 122 hanno inviato i dati richiesti, per quanto non sempre in forma completa.

I numeri ottenuti restituiscono una fotografia, seppur parziale, quanto più dettagliata possibile dell’impatto che le politiche di contenimento della pandemia hanno avuto sui pazienti non affetti dal Sars-CoV-2. Gli effetti di questi rinvii sono invece ancora tutti da valutare. Uno studio pubblicato nel maggio 2020 sul British Journal of Surgery stimava in 45 settimane il tempo necessario a recuperare gli interventi chirurgici rimandati. Mentre uno studio del luglio 2020 uscito su Lancet calcolava un incremento dei decessi per cancro al seno a 5 anni dalla diagnosi compreso tra il 7,9 ed il 9,6% ed un aumento delle morti per il cancro del colon retto, sempre a 5 anni dalla diagnosi, compreso tra il 5,8 ed il 6%.

Solo il tempo dirà se queste previsioni si riveleranno esatte o meno, con l’auspicio ovviamente che risultino sovrastimate. Per il momento, quello che si può fare è provare a raccontare quanti siano stati i Pazienti dimenticati durante la pandemia.